Benvenuti e benvenute al primo incontro della Labour Law Community – Comunità di giuslavoristi.
Nessuno di noi, fino a qualche mese fa, avrebbe immaginato che il primo incontro dell’Associazione si sarebbe svolto con questa modalità. Avevamo pensato di organizzare un incontro a Venezia, di parlare insieme delle ragioni della costituzione dell’Associazione e del programma nella nostra attività. E di farlo di presenza, come era normale che fosse. Invece ci ritroviamo a parlarci a distanza, che però è pur sempre un modo di parlarsi.
Ci sono alcune parole che mi hanno guidato nella preparazione di questo saluto, in cui vorrei parlare delle idee di base su cui è nata l’Associazione, di quelle che vorremmo fossero le sue caratteristiche principali.
Comunità
La prima è proprio comunità: cosa vuol dire essere oggi una comunità scientifica, una comunità interconnessa.
Comunità viene da communis e l’etimologia delle parole, come sempre, è affascinante: communis si riferisce a chi compie il suo incarico insieme ad altri.
C’è in questa parola, dunque, l’idea di un gruppo unito da una rete di relazioni che non sono fondate soltanto su interessi o obiettivi specifici, ma anche su idee, sentimenti ed emozioni condivisi, anche se plurali, su legami profondi; una rete che si alimenta di una collaborazione continuativa, non episodica, di una pratica e di una discussione comune, quasi di una dedizione reciproca.
Non è un caso che la parola comunità ricorra così di frequente in questo periodo anche nel linguaggio corrente. Sono state le comunità terapeutiche quelle che hanno salvato e curato tanti e tante di noi; sono le comunità di vicini quelle che ci hanno sostenuto nella reclusione di questi mesi. Una forma di vita collettiva che ha alla sua base legami di solidarietà; qualche cosa di salvifico, che viene incontro all’esigenza di rapporti meno solitari, più disinteressati.
Quello che però vogliamo combattere è la tendenza delle comunità a chiudersi egoisticamente su se stesse, ed è per questo che la nostra Associazione si vuole proiettare da subito fuori dai confini angusti delle comunità nazionali, in una dimensione europea e internazionale. La scelta di un doppio nome quindi non è un vezzo, vuole marcare immediatamente l’idea di una comunità aperta verso l’esterno, verso una comunità di studiosi transnazionale, in risposta al risorgere dei nazionalismi. Abbiamo già alcuni soci stranieri, desidereremmo che diventassero di più. Inviate i colleghi e le colleghe di altri paesi che pensate possano essere interessati a unirsi a LLC.
Imprevedibilità
La seconda parola è imprevedibilità.
Dicevo all’inizio, nessuno di noi si sarebbe aspettato di tenere il primo incontro nel pieno di un’emergenza come quella che stiamo vivendo. Davvero il futuro non è mai come te lo saresti aspettato.
La nostra cultura è stata imbevuta di catastrofismo per decenni. Ma il Covid ha cambiato tutto. All’improvviso il cambiamento spaventoso, il cataclisma per cui niente tornerà alla normalità è arrivato davvero. Ed è diverso da come ce lo eravamo immaginati.
Come ne usciremo?
È possibile cogliere la situazione che stiamo vivendo come un’opportunità per cambiare questo modello sociale ed economico che produce le profonde diseguaglianze che l’emergenza ha disvelato in modo crudele? Per riuscire a dare risposte nuove ai problemi che stiamo fronteggiando e, ancora di più, a quelli che fronteggeremo fra qualche tempo, quando si manifesteranno con più forza i pericoli di recessione e di crisi che oggi avvertimmo già?
Bisognerà vedere cosa accadrà quando gli effetti di più lungo periodo dello stop alla produzione e alle attività nel settore dei servizi, la rottura delle catene di valore globali, cominceranno a farsi sentire, quando la crisi comincerà a mordere sul serio.
Questo è il momento in cui la nostra consapevolezza “dell’utilità del diritto” dovrebbe essere altrettanto forte della consapevolezza dell’”utilità della storia” che spinse Marc Bloch, nel pieno del dramma della seconda guerra mondiale, a meditare e a scrivere sul proprio compito quotidiano di storico e sui frutti della conoscenza storica.
L’emergenza ci sta mettendo davanti a dilemmi giuridici di difficile soluzione, davanti ai quali non serve né minimizzare i conflitti fra diritti che l’inesausta decretazione di questi mesi fa insorgere, né evocare intenzioni liberticide. Il lavoro che i giuristi possono svolgere non viene dopo, ma deve accompagnare questa fase, con la prudenza, l’equilibrio e l’empatia che la situazione che stiamo vivendo richiede.
La nostra riflessione e le risposte che ne ricaveremo non possono aspettare la fine dell’emergenza, anche perché non è chiaro quando l’emergenza finirà.
Incertezza
L’altra parola chiave di queste settimane è, infatti, incertezza
Raramente il terreno per l’azione in condizione di incertezza è stato illuminato in modo così vivido, ha detto nei giorni scorsi in un’intervista Jurgen Habermas.
Perché se da una parte la scienza è tornata ad apparire centrale nella nostra vita, dall’altra parte è apparso chiaro che non solo i politici ma anche i virologi hanno una conoscenza limitata. Forse questa doppia lezione, della centralità e dei limiti della conoscenza scientifica, lascerà un segno duraturo nella nostra percezione dello stato delle cose del mondo.
Solidarietà.
Ci sono però alcune cose che appaiono già chiare.
La prima è che la società esiste, al contrario di quanto affermavano gli alfieri e le alfiere del neo-liberismo. La seconda è che, nel momento in cui ci siamo sentiti più esposti e vulnerabili, siamo tornati a rivolgerci al vecchio welfare state e ai suoi strumenti tipici, reintrodotti in fretta e furia perché ci è parso che, davvero, non ce ne fossero di alternativi.
Più in profondità, abbiamo tutti avvertito il bisogno di attingere alla solidarietà e alla responsabilità, presenti in ogni società umana. Essenzialmente a “un umanesimo planetario”, come dice Edgar Morin.
Lavoro
Il fatto di esserci ritrovati improvvisamente a che fare con la nuda semplicità dell’esistenza umana ci ha portato a ridefinire cosa è veramente necessario.
È stato scritto che avevamo affidato la nostra identità al ruolo lavorativo e che ci ritroviamo oggi ad avere a che fare con noi stessi come con degli sconosciuti; che fuori da quello scenario non sappiamo più chi siamo.
Non sono d’accordo con questa analisi.
Mi pare, invece, che in questi mesi il lavoro umano sia riemerso come una componente essenziale della nostra esistenza e della nostra socialità. Il che non significa che la tecnologia non sia anche essa necessaria. La nostra socialità si è fondata in queste settimane sulla tecnologia.
Ma è stato il lavoro umano a salvarci. E a farci sopravvivere.
È per questo che usare il termine guerra per descrivere la resistenza al Corona virus è sbagliato.
Come è stato scritto, quelli che oggi stanno in prima linea non sono combattenti, sono guaritori e guaritrici, che si prendono cura degli altri. Le persone che quasi sempre non sono pagate in modo adeguato, non sono valorizzate come meritano, sono state quelle di cui abbiamo avuto più bisogno quando perfino aria e cibo hanno rischiato di venire a mancare. Infermiere, medici, inservienti, commesse dei supermercati, autisti, fattorini, riders, insegnanti (anche se a distanza).
E poi c’è il lavoro domestico. Il lavoro domestico, ha scritto una giornalista femminista, non ha mai fatto parte della grandiosa storia che gli uomini si raccontano sul destino della specie, neanche quando ne immaginano l’estinzione. Alla fine ci siamo riscoperti a fare il pane e a pulire casa, a lavar panni, ad accudire bambini e vecchi. Ancora una volta, temo, più le donne e gli uomini.
Futuro
Abbiamo vissuto tanti anni in quelli che Antonio Gramsci chiamava anni dei mostri, anni di chiaroscuro in cui “il vecchio mondo sta morendo e quello nuovo tarda a comparire”.
Il nuovo verrà ora di fretta. Dopo tutto quello che stiamo vivendo, niente sarà più come prima, niente continuerà come prima.
E il dopo sarà meglio o peggio del prima. Le tifoserie sono già pronte, in un senso o nell’altro.
Vorrei restare a quello che scriveva, in altri tempi difficili, lo stesso Gramsci: “il solo ottimismo giustificabile è quello che accompagna la volontà intelligente, l’operosità intelligente, la ricchezza inventiva in iniziative concrete che modificano la realtà “.
Spero che come comunità di giuslavoristi e giuslavoriste sapremo praticare questa forma di ottimismo.
20 aprile 2020
Marzia Barbera
(Presidente di LLC)