Il ritorno del Sindacato. Il Patto per l’Innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale

Micaela Vitaletti

Professoressa di Diritto del lavoro e Relazioni Industriali, Università di Teramo

30 aprile 2021

In data 10 marzo 2021, il Governo, il Ministro per la Pubblica Amministrazione e le Confederazioni Cigl, Cisl e Uil hanno sottoscritto il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale.

L’ accordo trilaterale costituisce un evidente cambio di passo rispetto alla progressiva marginalizzazione delle organizzazioni sindacali nell’ambito del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, a vantaggio di un sistema fortemente procedimentalizzato per contenere la spesa pubblica. 

A distanza di molti anni dall’accordo 30 aprile 2009 in attuazione della riforma degli assetti contrattuali, non sottoscritto dalla Cgil, le tradizionali centrali sindacali ritrovano nel settore pubblico l’unità di azione sindacale. Le Confederazioni sono parte integrante e attiva dell’accordo anche con riferimento alla fase esecutiva. Il Patto sembra, dunque, ricordare più che l’esperienza recente del dialogo sociale, il metodo della concertazione. 

I contenuti dell’accordo sono programmatici e non di immediata attuazione, tuttavia, alla contrattazione collettiva viene riconosciuto un ruolo determinante. Le Parti sociali tornano pertanto ad essere centri effettivi di normazione, dopo il progressivo svuotamento della loro funzione, iniziato con il d.lgs. 150/2009, la c.d. Riforma Brunetta e portato avanti con i decreti attuativi della c.d. Riforma Madia.

Il duplice controllo previsto sui soggetti sindacali, sulla formazione e sulla conclusione del contratto collettivo, ha infatti frenato sensibilmente lo sviluppo dell’autonomia collettiva senza, tuttavia, produrre i risultati sperati in termini di efficienza e capacità di risposta ai mutamenti economici e sociali. 

Nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il fine del contenimento della spesa pubblica ha di fatto esautorato il ruolo del sindacato la cui attività è fortemente compressa dal controllo contabile svolto dalla Corte dei conti. E ciò è visibile, in particolare, con riferimento alla contrattazione collettiva di secondo livello a cui è rimessa la definizione della parte variabile della retribuzione volta ad incentivare i lavoratori. Le pubbliche amministrazioni non possono infatti sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con i vincoli e con i limiti risultanti dai contratti collettivi nazionali o che disciplinano materie non espressamente delegate a tale livello negoziale ovvero che comportano oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Di conseguenza, quella retribuzione integrativa ha perso la sua funzione, ove, la procedimentalizzazione dell’attività sindacale impedisce la formazione di premi correlati alla produttività del lavoro in raccordo con la specificità delle singole amministrazioni.

L’occasione di una inversione di marcia rispetto al sistema attuale poggia sulle risorse del Recovery Fund che rappresentano una straordinaria opportunità di riorganizzazione del lavoro nel settore pubblico, in parte già sperimentata in ragione delle misure di contenimento Covid-19. 

Il Patto indica alcuni pilastri fondamentali: la creazione di nuova occupazione per introdurre nuove competenze e garantire un ricambio generazionale; la necessità di una formazione permanente come elemento di valorizzazione ed evoluzione delle singole professionalità; lo spazio determinante da attribuire al sistema delle relazioni sindacali, affinchè l’organizzazione del lavoro pubblico sia «più flessibile, capace di rispondere rapidamente all’innovazione tecnologica e soprattutto alle esigenze dei cittadini e delle imprese». 

Il Patto riconosce, da un lato, l’importanza del metodo della negoziazione per un rapido adeguamento dell’organizzazione ai mutamenti del mercato, per incrementare la produttività e riconoscere la professionalità dei lavoratori.  

Dall’altro, attribuisce agli organismi paritetici, come il c.d. OPI (organismo paritetico per l’innovazione), il compito di favorire un costante dialogo per implementare l’attuale sistema di relazioni sindacali sia sul fronte dell’innovazione che su quello della sicurezza sul lavoro. Si rammenta che l’OPI è stato introdotto all’art. 6 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del comparto/Funzioni centrali – Periodo 2016-2018 con l’obiettivo di coinvolgere il sindacato nella dimensione progettuale, complessa e sperimentale, delle amministrazioni.

Il patto prevede, infine, sulla necessità di implementare «gli istituti di welfare contrattuale, anche con riguardo al sostegno alla genitorialità con misure che integrino e implementino le prestazioni pubbliche, le forme di previdenza complementare e i sistemi di premialità diretti al miglioramento dei servizi, estendendo anche ai comparti del pubblico impiego le agevolazioni fiscali previste per i settori privati a tali fini»

In altri termini una organizzazione efficiente si fonda sulla professionalità dei lavoratori da conservare e implementare mediante la formazione, sulla valorizzazione del personale, anche mediante misure di conciliazione tempi di vita e di lavoro, sulla capacità delle parti sociali di poter costantemente adeguare il lavoro ai bisogni della collettività. 

Qui l’intervento del legislatore è auspicato soltanto per restituire alla contrattazione collettiva il ruolo che nel tempo le era stato sottratto e, dunque, poter realizzare gli obiettivi indicati. Si ammette, infatti, che una iper regolamentazione legislativa abbia costituito un ostacolo alla flessibilità dell’organizzazione e alla rapidità dell’adeguamento dei servizi pubblici.

Pur riferendosi al settore pubblico, il Patto fa propria la riflessione di Gino Giugni che molti anni prima scriveva riferendosi alla contrattazione collettiva «la stessa ragione d’essere di questo strumento normativo, quella che ne giustifica l’esistenza e la preferibilità rispetto alle altre fonti, è data dal suo carattere elastico, dalla sua vigenza circoscritta a brevi termini di durata, dalla possibilità di sostituire senza inciampi formali clausole che non abbiano dato buona prova o di variare ambito di applicazione, diritti-doveri ed oneri economici» (G. Giugni, Il progresso tecnologico e la contrattazione collettiva dei rapporti di lavoro, in F. Momigliano (a cura di), Lavoratori e sindacati di fronte alle trasformazioni del processo produttivo, vol. I, Milano, Feltrinelli, 1962, 294 citato da F. Liso, Appunti per un profilo di Gino Giugni dagli anni ’50 allo Statuto dei lavoratori, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” .IT – 316/2016 , p. 22).

Dopo più di dieci anni dalla riforma c.d. Brunetta è, dunque, lo stesso fautore, attuale Ministro per la pubblica amministrazione, a tornare sui suoi passi, riconoscendo alla contrattazione collettiva, più in generale al sindacato, quella capacità di adattamento e cambiamento, fondamentale per rinnovare il settore. 

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