Bruno Arbanassi
Avvocato del Foro di Trieste
20 Maggio 2021
Per aggiornare il Protocollo aziendale i datori di lavoro dovranno affidarsi al “Comitato per l’applicazione e la verifica delle regole contenute nel presente Protocollo di regolamentazione, con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e del RLS.” ovvero, in assenza, al Comitato territoriale degli Organismi paritetici (come già previsto nel 2020).
Il modello di sicurezza anti-contagio SARS-CoV-2 è una sorta di modello a “responsabilità diffusa” verso tutti gli attori del luogo di lavoro. Infatti, il Protocollo nazionale del 6 aprile 2021 – ricalcando la modalità di accordo tra Parti Sociali e Governo del marzo ed aprile 2020 – prevede misure di prevenzione e protezione condivise (e quindi “non calate dall’alto” dal legislatore) dagli attori sociali rappresentativi degli interessi del mondo del lavoro e dal Governo con il supporto tecnico-scientifico dell’INAIL.
I singoli datori di lavoro si sono dotati del Comitato aziendale nel quale gli attori dell’ambiente e della sicurezza del lavoro (datore di lavoro, RSPP, RSA/RSU, RLS ma a latere anche il medico competente) dovranno confrontarsi per rendere applicabili le linee guida nazionali al singolo contesto di lavoro. Con l’adozione dell’aggiornamento al protocollo condiviso aziendale delle misure anti-contagio, rispettoso delle linee guida nazionali contenute nel Protocollo del 6 aprile 2021, le aziende si doteranno dell’idoneo strumento di difesa dell’ambiente di lavoro dal rischio contagio dal virus. Lo stesso Protocollo nazionale del 6 aprile 2021 qualifica tale rischio come generico (fatti salvi gli ambienti di lavoro nei quali il contagio da questo virus possa essere considerato un rischio specifico per le mansioni espletate e ciò ai sensi della normativa del Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro d.lgs. 81/2008). In tal modo, la responsabilità sull’adozione di queste nuove aggiornate linee guida (che in gran parte richiamano quelle già contenute nei Protocolli di marzo ed aprile 2020) da un lato ricade sui singoli datori di lavoro quali garanti della salute dei lavoratori che giornalmente popolano gli ambienti di lavoro. Dall’altro ricade sui singoli lavoratori che dovranno esser parte attiva nell’applicazione delle misure di prevenzione e protezione nell’esecuzione delle mansioni loro affidate, quali responsabili della propria salute e di quella di quanti si trovino negli ambienti di lavoro, secondo l’informazione e la formazione erogata dal datore di lavoro.
Nelle premesse dell’aggiornamento del 6 aprile 2021 si specifica come sia un ”obiettivo prioritario coniugare la prosecuzione delle attività produttive con la garanzia di condizioni di salubrità e sicurezza degli ambienti di lavoro e delle modalità lavorative”; allo stesso tempo, però, si prevede che “La prosecuzione delle attività produttive” possa “avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione” e che “La mancata attuazione del Protocollo, che non assicuri adeguati livelli di protezione” determini una “sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”. Per “adeguati livelli di protezione” non si può che rimandare a quelli adottati nei singoli Protocolli aziendali, i quali dovranno essere rispettosi delle linee guida indicate nello stesso Protocollo nazionale del 6 aprile 2021. Infatti, è tutt’oggi in vigore l’art. 29bis del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23 convertito in legge 5 giugno 2020, n. 40, il quale considera i Protocolli quali parametri esterni alla legge per l’individuazione delle misure di tutela contro il rischio di contagio negli ambienti di lavoro; è proprio attraverso il rispetto e l’aggiornamento dei medesimi Protocolli che i datori di lavoro vengono considerati in linea con l’obbligo di tutela della salute del lavoratore previsto dall’art. 2087 del codice civile con riguardo, appunto, al rischio contagio da SARS-CoV-2. Se così non fosse, i datori di lavoro ed i lavoratori non saprebbero individuare quali specifici comportamenti organizzativi e protettivi adottare per contrastare il rischio generico da contagio sul lavoro del virus SARS-CoV-2, con la conseguenza che si creerebbe un’inaccettabile incertezza applicativa nell’ambito della protezione del diritto alla salute che sul lavoro, ricordarlo non è mai sbagliato, non può essere mai cedevole all’esigenza produttiva.
Una prova statistica dell’efficacia, peraltro, delle misure di contrasto alla diffusione di SARS-CoV-2 negli ambienti di lavoro già previste nei protocolli del 14 marzo 2020 e del 24 aprile 2020, è ricavabile dal numero di denunce da infortunio COVID-19 pubblicato dall’INAIL nel suo report aggiornato alla fine di febbraio 2021 secondo il quale i contagi nei luoghi di lavoro sarebbero stati solamente il 5,4% dei contagiati nazionali.
Il documento condiviso del 6 aprile 2021 continua ad indicare due soluzioni organizzative preferenziali per la rarefazione delle presenze dentro i luoghi di lavoro: il lavoro agile o da remoto e gli ammortizzatori sociali. Pertanto, il lavoro agile così come la sospensione o riduzione dell’orario di lavoro attraverso il sostegno reddituale pubblico, diventano strumenti organizzativi che, rispetto alle loro originarie finalità, vengono trasformati in mezzi di distanziamento sociale per prevenire il rischio contagio nel luogo aziendale di lavoro.
Oltre a queste due misure, il Protocollo del 6 aprile 2021 rimanda agli obblighi previsti dalle disposizioni emanate per il contenimento del virus SARS-CoV-2, nonché alle raccomandazioni del dpcm 2 marzo 2021 in relazione alle attività produttive, elencando le misure ritenute opportune per arginare al massimo il rischio di contagio sul luogo di lavoro, “tutelare la salute delle persone presenti all’interno dell’azienda e garantire la salubrità dell’ambiente di lavoro”:
- massimo utilizzo del lavoro agile o da remoto per le attività compatibili;
- limitazione degli spostamenti nei siti produttivi e contingentamento accesso negli spazi comuni;
- utilizzo di dispositivi di protezione delle vie aeree negli spazi condivisi oltre al distanziamento sociale di almeno un metro;
- favorire sulle attività produttive gli accordi tra organizzazioni sindacali e datoriali.
Il Protocollo, che ricalca la suddivisione in sezioni come i precedenti, presenta alcune novità rispetto ai Protocolli sottoscritti nel 2020. In particolare, circa la modalità di ingresso in azienda, un lavoratore positivo da più di 21 giorni potrà essere riammesso in servizio in seguito a tampone molecolare o antigenico negativo effettuato presso struttura accreditata o autorizzata dal Servizio Sanitario Territoriale.
Di particolare interesse risulta la previsione per la quale le mascherine chirurgiche sono considerate dispositivi di protezione individuale ai sensi del Testo Unico sulla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro ed è obbligatorio il loro utilizzo in tutti i casi di condivisione degli ambienti di lavoro all’aperto o al chiuso e ciò a prescindere dal rispetto del distanziamento sociale. Non è obbligatorio utilizzarle esclusivamente in attività lavorative svolte in isolamento. Si rimette poi alla valutazione del rischio in ogni specifica azienda l’adozione dei dispositivi più idonei anche di livello superiore.
In tema di organizzazione del lavoro, poi, il lavoro agile o da remoto deve essere preferito e favorito quale utile e modulabile strumento di prevenzione ma garantendo adeguate condizioni di supporto al lavoratore sia sull’uso delle apparecchiature tecnologiche che sui tempi/pause di lavoro.
Il ruolo del medico competente viene potenziato sia in ipotesi di positività di dipendenti di aziende terze appaltatrici per la gestione dei rapporti con le aziende committenti e con l’Autorità sanitaria per il tracciamento dei c.d. “contatti stretti; sia in ordine alla gestione delle trasferte con riguardo alla conoscibilità di contesti epidemiologici presenti nelle destinazioni.
La sorveglianza sanitaria attuata dal medico competente è considerata un ulteriore strumento di prevenzione per “stanare” ed intercettare possibili casi sospetti ed evitare la diffusione del contagio ed è possibile la ripresa delle visite mediche con le dovute precauzioni igieniche. Inoltre, il medico competente identifica ed attua in collaborazione con datore di lavoro, RSPP e RLS le misure idonee per limitare il contagio e collabora con l’Autorità sanitaria competente per individuare i c.d. “contatti stretti”. Può anche disporre strategie di testing per evitare o limitare il rischio di insorgenza di focolai nei luoghi di lavoro ed attua la sorveglianza sanitaria eccezionale a tutela dei lavoratori c.d. fragili nel rispetto della riservatezza dei dati.
I datori di lavoro si dovranno confrontare in seno al Comitato aziendale anti-contagio o, se assente, al Comitato territoriale degli Organismi paritetici di categoria.
I Protocolli aziendali anti-contagio, insomma, dovranno essere aggiornati seguendo le linee guida indicate nel Protocollo nazionale del 6 aprile 2021 nell’ottica di una conciliazione tra libertà d’impresa e diritto alla salute improntata alla miglior prudenza possibile.