Micaela Vitaletti
Professoressa di Diritto del lavoro e Relazioni Industriali, Università di Teramo
19 Gennaio 2021
Le misure restrittive emesse a seguito della crisi epidemiologica Covid 19 hanno avuto un notevole impatto su alcuni settori dell’economia, in particolare quelli la cui attività si caratterizza per una dimensione pubblica/sociale.
Tra questi, il settore dello spettacolo dal vivo, la cui produzione si svolge esclusivamente in presenza, ha subito una quasi totale sospensione, portando all’attenzione dell’ordinamento una nuova platea di lavoratori impegnati in un ambito fino ad ora, salvo qualche eccezione, poco indagato anche dal diritto del lavoro.
Come è stato osservato nell’ambito dell’audizioni svolte durante l’indagine conoscitiva delle Commissioni riunite – VII (Cultura, Scienza e Istruzione) e XI (Lavoro pubblico e privato) della Camera dei Deputati, il lavoro nello spettacolo si contraddistingue per il carattere settoriale, per la discontinuità e la pluralità di figure professionali (Prof.ssa M. D’Onghia), nonché per una retribuzione parametrata soltanto con riferimento allo svolgimento dello spettacolo, senza che le ore impegnate dal lavoratore e propedeutiche all’esecuzione dello spettacolo siano computate ai fini del trattamento economico (Pof.ssa C. Alessi). L’emergenza sanitaria ha così fatto emergere per circa 325.000 lavoratori dello spettacolo tutte le criticità connesse all’assenza di una disciplina organica anche con riguardo alle misure di sostegno al reddito o meglio della possibilità, stante la peculiarità della loro prestazione, di accedere agli strumenti ordinari[1]..
Un qualche supporto normativo per il settore dello spettacolo fin dal momento della chiusura di tutte le attività ad esso connesse, e prima ancora dell’intervento del governo mediante la predisposizione di forme indennitarie, è stato il contratto collettivo sottoscritto il 19 aprile 2018 da Cgil, Cisl e Uil che, tuttavia, si applica: a) esclusivamente ai lavoratori subordinati e non a quelli autonomi e ai collaboratori; b) soltanto agli scritturati dai Teatri nazionali, dai Centri di produzione e dalle Compagnie teatrali professionali .
Il contratto collettivo prevede al secondo comma dell’art. 19 che, in caso di forza maggiore, qualora il teatro dovesse rimanere chiuso, l’impresa dovrà corrispondere allo scritturato un compenso giornaliero non inferiore a quelli minimi contrattali per un periodo non superiore a dodici giorni. Decorso tale periodo, ciascuna delle parti potrà recedere dal rapporto contrattuali.
Qualora, invece, gli spettacoli siano sospesi con provvedimento della pubblica autorità, in base al quinto comma della medesima clausola, l’impresa dovrà corrispondere allo scritturato il compenso minimo per un periodo massimo di cinque giorni, decorso il quale dovrà in ogni caso riprendere l’erogazione della normale retribuzione.
In altri termini, la clausola contrattuale prevede due ipotesi: a) la prima consente la continuità del trattamento economico fino al dodicesimo giorno, ) la seconda la conservazione della retribuzione fino a conclusione del rapporto di lavoro, senza contemplare la risoluzione del contratto di lavoro.
A fronte della pandemia, si è posta la necessità di inquadrare il fenomeno all’interno di una delle due fattispecie previste dal contratto collettivo con effetti alquanto diversi in termini di tutela per i lavoratori. Qualificare la pandemia come causa di forza maggiore oppure considerare l’atto dell’autorità pubblica di sospensione delle attività teatrali quale presupposto per l’attivazione delle tutele avrebbe, infatti, portato a differenti livelli di garanzia per il lavoratore, là dove soltanto in tale ultimo caso lo scritturato non avrebbe perso il trattamento economico concordato nell’ambito del contratto di lavoro.
L’Avvocatura di Stato, in risposta alla richiesta di Parere da parte del Ministero per i beni e le attività culturali del 10 aprile 2020, in merito alla corretta applicazione dell’art. 19 del CCNL 18/4/2018, ha ritenuto che la pandemia che costituisse la causa di forza maggiore, determinando la chiusura dei teatri e la cancellazione delle prove e degli spettacoli e non la loro sospensione (art. 19, comma 5, del CCNL scritturati), bensì alla dichiarata catastrofe naturale globale (art. 19, comma 2, CCNL).
Secondo il parere dell’Avvocatura di Stato, «è la stessa interpretazione letterale dell’art. 19 a confermare tale orientamento, ove si considera nella prima ipotesi la chiusura dei teatri, mentre nella seconda ipotesi la sospensione dei medesimi». In altri termini, i contratti di scrittura, in corso di esecuzione al momento della dichiarazione della pandemia, sono stati attratti nel secondo e terzo comma dell’art. 19 del CCNL, mentre quelli la cui esecuzione non è mai iniziata, in quanto prevista dopo la dichiarazione della pandemia, rientrano nell’ipotesi dell’impossibilità sopravvenuta secondo la normativa generale di diritto civile.
Va comunque osservato che il parere dell’Avvocatura è intervenuto ad aprile 2020, all’inizio del c.d. lock down. Il perpetrarsi della chiusura dei teatri, rinnovata poi anche a novembre, ha evidenziato l’impossibilità per l’articolo 19 del vigente CCNL di risolvere in modo soddisfacente, nel lungo periodo, le vicende relative all’emergenza sanitaria. A conferma di ciò, il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo è dovuto intervenire con specifiche misure di ristoro per gli scritturati – artisti e maestranze – nei settori teatro, musica, danza e circo, con i decreti 12 novembre 2020, che hanno stanziato 20 milioni di euro, poi saliti a 35,9 milioni di euro a fine dicembre 2020, proprio per soddisfare le oltre 16.000 domande di ristoro pervenute. Inoltre, la mancanza nel CCNL di misure riferite espressamente alla interruzione o alla cancellazione di spettacoli a causa dell’emergenza sanitaria è stata espressamente riconosciuta nel decreto 31 dicembre 2020, sui criteri di erogazione dei contributi a valere del Fondo unico per lo spettacolo per l’anno 2021. Per questa ragione, con tale decreto sono state rafforzate le misure di tutela occupazionale ed è stato previsto anche un apposito “fondo” di garanzia per poter assicurare, in caso di nuove interruzioni o cancellazioni di spettacoli, la corresponsione del compenso degli scritturati da parte degli organismi dello spettacolo dal vivo.
Senza discutere ulteriormente l’interpretazione del parere dell’Avvocatura di Stato (che comunque pare immaginato più per permettere il pagamento di lavoratori su spettacoli mai partiti e non per limitare gli importi degli indennizzi), è interessante notare come la lettura restrittiva dell’art. 19 del contratto collettivo e la carenza di strumenti adeguati a supportare i lavoratori dello spettacolo abbiano costituito anche l’occasione per la formazione di un movimento volto a porre l’attenzione sulle condizioni dei lavoratori dello spettacolo. Tale movimento si è subito attivato mediante diverse iniziative per poi costituire specifiche associazioni, per esempio, quanto agli interpreti nel settori teatro e audiovisivo, l’Associazione U.N.I.T.A. che in poco tempo ha raccolto più di mille adesioni.
Seppur la suddetta associazione non è stata istituita per fini esclusivamente sindacali, tra gli obiettivi, previsti all’art. 5 dello Statuto, è indicata la promozione di «tutti gli atti e le operazioni necessarie ed utili per il conseguimento delle finalità sociali, ivi comprese quelle della concertazione e contrattazione, collaborando anche con altri soggetti, pubblici e privati, enti e associazioni, nazionali e internazionali, che svolgano attività analoghe o accessorie a quelle sociali».
Il movimento sorto a seguito della pandemia e organizzato intorno alla suddetta associazione ha pertanto rappresentato un importante canale di supporto e pressione con risultati immediati, non di poco conto, sia sul piano del dialogo con il sindacato tradizionale – che ha offerto il suo supporto – sia su quello istituzionale. La notorietà dei soggetti promotori e il ricorso, mediante la tecnologia, a manifestazioni di vario titolo ha prodotto un ampio interessamento del pubblico in merito alla vicenda che altrimenti avrebbe rischiato di continuare a rimanere ai margini anche del diritto del lavoro.
È stata, infatti, la voce di questo movimento a sollecitare ulteriori interventi del Mibact e poi del Governo per lo stanziamento di risorse da erogare ai lavoratori dello spettacolo, con i decreti prima menzionati, nonché delle organizzazioni sindacali, con l’obiettivo, da un lato, di rivedere il ruolo della contrattazione collettiva del settore, anche al fine di coprire ambiti limitrofi in cui non opera un accordo collettivo, e dall’altro lato, per intraprendere un percorso organico di rivisitazione della materia.
E U.N.I.T.A., insieme con le altre associazioni formatesi in questi mesi, nonché con le organizzazioni sindacali tradizionali, hanno poi trovato anche spazio nel tavolo di emergenza costituito presso la Direzione generale Spettacolo e la Direzione generale Cinema e audiovisivo del MIBACT. Un tavolo che, nel solo settore dello spettacolo dal vivo, conta oltre 80 sigle.
La coesione tra movimenti di nuova costituzione e organizzazioni sindacali tradizionali è rinvenibile anche nell’ultima azione proposta per chiedere lo sblocco delle risorse impegnate per l’ultimo c.d. decreto ristori, fermo a causa della crisi di governo. Cgil, Cisl e Uil insieme ad altre associazioni hanno firmato con UNITA l’appello del 1° febbraio 2021.
E’ poi utile ricordare che già in passato il settore dello spettacolo ha rappresentato una occasione di riflessione per l’ordinamento lavoristico. È nota la vicenda relativa alla disciplina speciale dei contratti a tempo determinato per i lavoratori dello spettacolo all’interno dell’impianto del d.lgs 15 giugno 2015, n. 81 e successive modifiche. La specialità di quella disciplina è l’esito della copiosa produzione giurisprudenziale volta ad arginare il tentativo di alleggerimento delle tutele offerte dall’ordinamento ai rapporti di lavoro a termine alle dipendenze delle Fondazioni Lirico Sinfoniche, già segnati da una evidente settorialità rispetto alle disposizioni generali in materia..
L’esperienza più recente mostra, dunque, come molti profili della materia debbano ancora essere affrontati, ma che l’azione sindacale e lo strumento collettivo restano fondamentali non soltanto per apprestare nell’immediato una tutela ai lavoratori, ma anche e soprattutto al fine di sollecitare interventi da parte dell’ordinamento Statale.
[1] Inps, Osservatorio Gestione Spettacolo e sport