Valentina Cagnin
Docente di Diritto del welfare, Università Ca’ Foscari Venezia
25 giugno 2021
1. Il caso
La sentenza della Corte di Giustizia del 1 dicembre 2020, C-815/18, riguarda la controversia sorta tra la federazione del movimento sindacale dei Paesi Bassi e la Van den Bosh Transporten, una società di trasporti internazionali di merci con sede a Ern, nei Paesi Bassi.
Per svolgere l’attività, la Van den Bosh Transporten si avvaleva di alcuni autisti di altre due diverse società estere (una di diritto tedesco, la GmbH, e l’altra di diritto ungherese, la Silo-Tank Kft) – di qui la natura transnazionale della controversia – appartenenti allo stesso gruppo ed aventi lo stesso socio.
I sindacati rivendicavano per tali autisti impiegati nell’ambito di contratti di noleggio stipulati con le suddette società, l’applicazione del contratto collettivo nazionale dei Paesi Bassi del settore del trasporto di merci – nonché dunque la retribuzione olandese – trattandosi, a loro avviso, di lavoratori “distaccati”, ai sensi della dir. 96/71.
La controversia, giunta alla Corte suprema dei Paesi Bassi, viene sottoposta alla Corte di Giustizia Europea: le questioni pregiudiziali vertono essenzialmente sulle condizioni alle quali è possibile individuare l’ipotesi di distacco di lavoratori nel settore dei trasporti internazionali su strada.
2. Sull’applicabilità della direttiva distacco.
La Corte di Giustizia, investita delle questioni, ribadisce in primo luogo l’applicabilità della direttiva distacco, in linea di principio, “a qualsiasi prestazione di servizi transnazionale che implichi un distacco di lavoratori, indipendentemente dal settore economico al quale una simile prestazione si ricollega, ivi compreso pertanto il settore del trasporto su strada” (p. 33 CGUE).
Nonostante la decisione in commento abbia una certa eco in dottrina per aver sancito a chiare lettere l’applicabilità della direttiva distacco al settore del trasporto su strada, non è qui che risiede la novità giurisprudenziale di rilievo poiché tale questione era già stata chiarita da diversi atti di diritto dell’Unione, così come sottolineato dallo stesso giudice (p. 35 CGUE).
In primis dalla direttiva madre (dir. 96/71, art. 2, par. 1), secondo cui il «lavoratore distaccato», è “colui che, per un periodo limitato, svolge un lavoro nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel cui territorio lavora abitualmente”: mancando una qualsivoglia restrizione quanto al settore di attività di tale lavoratore (prevista espressamente solo per il personale navigante ai sensi dell’art. 1, par. 2 dir. 97/71 e p. 56 AG) è tanto lecito quanto ovvio presumere che tale previsione valga dunque anche per il settore del trasporto su strada. Del resto, come sottolinea nelle sue conclusioni l’Avvocato generale “la direttiva sul distacco ha lo scopo di reagire alle conseguenze sociali ed economiche derivanti dal distacco di lavoratori nel quadro della prestazione di servizi (tutti e di qualsiasi tipo essi siano). In linea di principio, tali conseguenze incidono allo stesso modo su tutti i datori di lavoro, indipendentemente dalla natura dei servizi che forniscono” (p. 51 AG).
Lo stesso concetto viene peraltro ribadito, ancor più a chiare lettere, in occasione della (discussa) direttiva del 15 luglio 2020, in occasione della quale il legislatore europeo, dopo il duplice tentativo di presa di posizione con la dir. 96/71 prima e con la dir. 2018 dopo in tema di distacco nel traporto transnazionale, sancisce che «(…) Le disposizioni relative al distacco dei lavoratori di cui alla direttiva [96/71] (…) si applicano al settore del trasporto su strada (…)» (considerando 7, direttiva (UE) 2020/1057).
Posta l’applicabilità della direttiva distacco ai lavoratori che svolgono l’attività di autista nel settore del trasporto internazionale su strada nell’ambito di un contratto di noleggio tra imprese di Stati Membri differenti appartenenti allo stesso gruppo, la risoluzione della controversia richiede un’indagine ulteriore, ovvero l’individuazione delle condizioniaffinché i lavoratori in questione possano considerarsi distaccati.
Ed è qui che torna in gioco il tema del legame sufficiente (“sufficient connection”) tra il lavoratore (l’autista di camion) ed il territorio attraversato (quello dei Paesi Bassi) poiché secondo recente giurisprudenza “un lavoratore può essere considerato distaccato nel territorio di uno Stato membro, sotto il profilo della direttiva 96/71, solo se l’esecuzione del suo lavoro presenta un legame sufficiente con tale territorio” (v., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2019, Dobersberger, C-16/18, EU:C:2019:1110, p. 31).
3. Sull’esistenza di un legame sufficiente tra il lavoratore ed il territorio.
Alla sentenza in commento va riconosciuto il merito, nettamente più significativo rispetto all’applicabilità della direttiva distacco nel settore dei trasporti, di aver ulteriormente indagato – seppur non ancora definitivamente chiarito – l’espressione “legame sufficiente tra il lavoratore ed il territorio”.
I giudici europei infatti in tale occasione hanno spiegato che l’esistenza di un tale legame debba essere determinato da una valutazione “globale” di tutti gli elementi che caratterizzano l’attività del lavoratore interessato (p.45 CGE), quali i) la natura delle attività svolte dal lavoratore interessato in detto territorio; ii) il grado di intensità del legame delle attività di tale lavoratore con il territorio di ciascuno Stato membro nel quale egli opera, nonché iii) la parte che dette attività vi rappresentano nell’insieme del servizio di trasporto(p. 51 CGUE).
Sebbene per la prima volta venga finalmente offerta una definizione piuttosto esaustiva ed omnicomprensiva per poter effettivamente indagare sull’esistenza e sul tipo di legame rinvenibile tra un lavoratore ed un territorio, nella valutazione del caso in questione la Corte sembra prendere velocemente le distanze, mancando una qualsiasi riflessione successiva, di qualunque genere, sulla natura delle attività, sull’intensità del legame con il territorio o sull’insieme delle attività svolte dal lavoratore. Ancora una volta infatti, nonostante la nobile premessa, i giudici si limitano a considerare semplicemente il luogo in cui i lavoratori ricevono le istruzioni e quello in cui iniziano e terminano la consegna.
Riprendendo infatti sostanzialmente gli stessi indici suggeriti dall’Avvocato Generale (il luogo in cui le operazioni di trasporto sono organizzate e i conducenti ricevono i rispettivi incarichi, il luogo in cui essi fanno ritorno dopo aver svolto il proprio lavoro e l’ubicazione del destinatario dei servizi di cui trattasi (AG, p. 105)), a loro giudizio, il fatto che gli autisti ricevano le istruzioni inerenti ai loro compiti, inizino o concludano i medesimi presso la sede dell’impresa per la quale sono stati messi a disposizione non possono considerarsi elementi sufficienti per individuare un distacco (p. 52 CGUE).
Nonostante dunque le valide premesse argomentative, dalle quali ci si poteva lecitamente aspettare una lista di indici quantomeno più esaustiva, la Corte non ha ancora stabilito dei criteri più dettagliati per definire una volta per tutte come sancire l’applicabilità della direttiva distacco.
La questione dell’applicabilità della direttiva distacco nell’ambito dei lavoratori mobili – del tutto pacifica secondo l’Avvocato Generale Bobek, secondo cui non vi è nulla nella base giuridica o nella procedura legislativa che consenta di dubitare dell’esclusione del trasporto su strada dal suo ambito di applicazione (v. sez. 5 AG) – risulta sempre più attuale quanto ancora complessa: si noti in proposito come anche nella precedente sentenza Dobersberger, in tema di prestazione di servizi di ristorazione e di pulizia a bordo di un treno internazionale, i criteri decisivi utilizzati dalla Corte per escludere l’esistenza di un legame tra il lavoratore a bordo del treno ed il territorio attraversato furono (i) l’identificazione del luogo in cui i lavoratori iniziano e terminano il servizio (stesso criterio) e l’identificazione ii) del luogo in cui viene svolta “la parte rilevante” del lavoro (con i dubbi annessi e connessi di cosa si dovesse – e si debba – intendere per parte rilevante).
4. Sui trasporti di cabotaggio
La Corte propone poi un’ulteriore riflessione in tema di trasporti di cabotaggio, ovvero quei trasporti nazionali di merci effettuati per conto terzi, a titolo temporaneo, svolti unicamente nel territorio di uno Stato membro diverso da quello in cui il lavoratore in parola è abitualmente occupato.
Nel caso infatti in cui il traporto risulti interamente effettuato tra due punti di uno stato membro (nel caso in esame, i Paesi Bassi), da parte di una impresa stabilita in un altro stato membro (nel caso in esame, Germania o Ungheria), a detta dei giudici, il lavoratore deve “in linea di principio, essere considerato distaccato nel territorio dello Stato membro nel quale tali trasporti sono effettuati” (p. 55 CGUE), al di là della durata di detti trasporti.
La sentenza in commento non si limita dunque a sancire l’applicabilità della direttiva distacco tout courtall’ipotesi di cabotaggio, così come proposto dall’Avvocato Generale (“Il cabotaggio rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 96/71/CE”, senza alcuna regola minima relativa alla durata del trasporto di cabotaggio”) ma realizza, ad avviso di chi scrive, uno step ulteriore, dichiarando addirittura che l’autista in questione debba “in linea di principio” essere considerato distaccato nel territorio dello Stato membro nel quale tali trasporti sono effettuati.
Ed è l’inciso “in linea di principio” a sottendere – per il commentatore – la condizione sine qua non di cui sopra, ovvero “qualora vi sia un legame sufficiente con il territorio”.
Peccato che anche questa volta si sia persa l’occasione di chiarirne definitivamente il significato.
5. Brevi note finali
Una breve nota finale infine risulta opportuna con riferimento non tanto al “detto” del giudice quanto, stavolta, al “non detto”.
Nello specifico, la Corte viene investita di una questione relativa al bilanciamento tra la libera prestazione dei servizi (art. 56 TFUE) e i diritti sociali dei lavoratori distaccati (ai sensi dell’art. 44 del CCNL sulle condizioni minime di lavoro applicabili ai lavoratori distaccati nei Paesi Bassi), trovandosi a valutare se tale previsione potesse costituire un ostacolo alla libera prestazione dei servizi (art. 56 TFUE) ed in quale misura, eventualmente, tale ostacolo risultasse giustificato e proporzionato.
Tale questione ha il potere di evocare agli addetti ai lavori il fantasma delle celebri (quanto discusse e commentate) sentenze Viking e Laval (rispettivamente C-438/05 C-341/05), in entrambe le quali si è assistito ad uno sbilanciamento a favore delle libertà economiche (rispettivamente libertà di stabilimento e libertà di circolazione dei servizi), rispetto alle libertà sindacali.
Sul punto, si rilevano due diversi approcci: da un lato, l’Avvocato Generale rileva una restrizione alla libera prestazione dei servizi ma affida al giudice del rinvio il compito di valutare se una siffatta restrizione possa essere giustificata da motivi imperativi di interesse generale e se risponda al criterio di proporzionalità (pp. 145-147 AG); dall’altro, la CGE evita prontamente ogni qualsiasi riflessione (p. 73), ritenendo non necessario rispondere alla questione in oggetto alla luce della risposta già fornita sul dover valutare la questione di stabilire se un contratto collettivo sia stato dichiarato di applicazione generale con riferimento al diritto nazionale applicabile (p.72).