Ricordo di Lauralba Bellardi

 

Mi è stato chiesto di ricordare in questa sede Lauralba Bellardi. Sono lieto e onorato, perché la sua presenza è stata importante nella vita di tante e tanti, e – se mi perdonate la scivolata nel personale – anche nella mia.

La prima cosa che vorrei dire è che Lauralba era autorevole.

Non è stato semplice per le donne di quella generazione, che hanno avuto gli anni formativi al liceo prima della grande svolta generazionale del ’68, e che, in un ambiente accademico come quello delle Facoltà di Giurisprudenza – allora a Bari, dove Lauralba si è laureata nel 1973, Scienze Politiche era un corso di laurea di Giurisprudenza -, ancora così largamente maschile, hanno dovuto faticare per affermare la loro presenza.

Lo ha ricordato la stessa Lauralba in un intervento molto interessante e molto sentito che ha svolto a Bari il 25 ottobre 2019, alla presentazione del libro di Roberto Voza su Giugni, raccontando gli inizi della sua carriera accademica e professionale, trascinata, dal Maestro di cui era allieva dilettissima, da neolaureata nell’attività del Ministero del Lavoro e negli incontri e scontri tra le parti sociali di quell’epoca movimentata.

Malgrado la rudezza dei tempi, e le peculiarità caratteriali della cara Lauralba di cui dirò qualcosa dopo, la professoressa Bellardi si è rapidamente conquistata, per l’equilibrio con cui affrontava i problemi e per lo stile con cui intesseva dialoghi, la stima generalizzata degli interlocutori.

Ne abbiamo avuto, in anni di molto successivi, la prova quando tutti i protagonisti delle relazioni industriali, anche nei passaggi più delicati e controversi, hanno sempre accolto l’invito a venirne a discutere a Bari, nell’allora Dipartimento sui Rapporti di Lavoro, sottoponendosi all’attenzione critica e alle osservazioni puntualissime di chi quei dibattiti organizzava e introduceva: cioè Lauralba.

Questa autorevolezza, naturalmente, discendeva non solo dall’acuta intelligenza che la contraddistingueva ma da una sconfinata conoscenza della materia. In una lunga, sebbene a volte intermittente quando si è creata una distanza geografica, frequentazione, non ho mai sentito Lauralba Bellardi prendere la parola su qualcosa su cui non avesse compiuto studi approfonditi che le consentissero di prendere posizioni solide. Quanto differente questa impostazione dai tempi attuali, dove valori soglia puramente quantitativi e meccanismi di carriera impostati su pseudo-oggettività spingono a pubblicazioni affrettate, inseguimento di temi di moda e orientamenti di maniera.

Ella seppe e volle coltivare innanzitutto la materia nella quale si era laureata con Giugni, le relazioni industriali. La convinzione fondante della scuola, che il diritto del lavoro fosse innanzitutto costituito dalle regole che disciplinavano la vita di lavoro delle persone sui luoghi di lavoro, Lauralba l’ha portata con sé per tutta la vita, esplorando con ininterrotta curiosità intellettuale quello che accadeva nelle aziende e tra le parti sociali, e i mutamenti che le trasformazioni organizzative e tecnologiche producevano in questi rapporti. Colse così per prima, mi pare, uno snodo fondamentale per il futuro nella crisi di rappresentatività delle organizzazioni datoriali, per discutere la quale organizzò nel 2011 un importante convegno dell’AISRI, associazione della quale tenne meritatamente e con successo la Presidenza dal 2010 al 2019.

A noi più giovani, che ogni tanto le sembrava sbandassimo – finiti gli anni ruggenti del diritto del lavoro protagonista della vita sociale e politica italiana – verso un ruolo più tradizionale del o della giuslavorista, indicava spesso la necessità di non smarrirsi nella mera esegesi, per tenere invece i piedi ben piantati nella realtà.

Ma la sua autorevolezza emerse anche quando, in un passaggio delicato della vita della Rivista che Giugni aveva fondato e lungamente diretto, lei fu chiamata a dirigere il Giornale di diritto e di relazioni industriali, che resta una delle riviste giuslavoristiche italiane più prestigiose a livello internazionale, ben al di là delle burocratiche classificazioni dell’Anvur

Per far questo, il secondo profilo della personalità di Lauralba che vorrei rammentare a quanti hanno avuto la fortuna di conoscerla e indicare a quanti tale fortuna non hanno avuto, è che si è trattato di una collega operosissima. Quando il Dipartimento barese era vuoto, a tarda sera, e si percepiva un vago rumore, si poteva essere sicuri che fosse Lauralba, nella sua stanza in fondo al lunghissimo corridoio di Corso Italia, intenta a scrivere acute riflessioni su qualche fenomeno che fosse caduto sotto il suo sguardo indagatore. E anche quando il male l’ha colpita, non ha affatto dismesso, per quanto l’andamento della sua salute lo permettesse, di impegnarsi attivamente nell’attività scientifica, oltre che in quella istituzionale che l’ha vista, fra l’altro, chiamata dal 2016 alla Commissione di garanzia.

Poi, certo, nel limite di tempo che gli organizzatori mi hanno indicato, vorrei ricordare con commozione le peculiarità caratteriali di Lauralba. Molti hanno ricordato la sua gentilezza e il suo garbo, nella terribile circostanza della sua scomparsa, in un periodo che ha impedito persino la forma più elementare di partecipazione al cordoglio della famiglia, che non fosse quella fredda del necrologio che la scuola di Bari – alla cui eredità era legatissima – volle pubblicare, e alla cui redazione partecipammo con emozione e tristezza in parecchi.

E certamente, chi ha avuto occasione di sperimentarne pure le doti di ospite squisita, non potrebbe che confermare le lodi a questo stile di stare al mondo, che l’ha contraddistinta, con il suo luminoso indimenticabile sorriso.

Ma vorrei pure ricordare che Lauralba era persona dalla grandissima disponibilità al dialogo con colleghe e colleghi, giovani o meno che fossero, ma anche studiosa dalle opinioni molto nette su fatti e persone, e assai capace – sempre con garbo – di argomentarle e difenderle con fermezza. Una donna, quindi, affascinante, di grande forza e ricchezza interiore, di straordinaria ironia e autoironia.

Mi manca, credo manchi a tutte e tutti coloro che l’abbiano conosciuta. Possiamo solo ricordarla con tutto il nostro affetto e continuare il dialogo con lei attraverso i suoi scritti, che raccomando a chi invece non li conoscesse.

 

di Marco Barbieri