Alessandro Rosina
Professore ordinario di Demografia e Statistica sociale, Università Cattolica di Milano
Come ben noto. l’Italia è uno dei paesi occidentali nei quali più forte è la solidarietà familiare intergenerazionale e dove l’attività di cura verso i soggetti più deboli e vulnerabili è maggiormente svolta all’interno della famiglia. La funzione di care giver all’interno di questo welfare informale è svolta tradizionalmente soprattutto dalle donne ma con un carico che nel tempo è diventato sempre meno sostenibile a fronte di mutamenti sociali, economici e demografici profondi che hanno cambiato le condizioni della domanda e dell’offerta di aiuto. In particolare la diminuzione demografica delle donne giovani-adulte, la loro maggiore presenza nel mercato del lavoro, la maggiore mobilità sul territorio delle nuove generazioni, portano alla diminuzione dell’interscambio tra figli adulti e genitori anziani (il rapporto tra generazioni è sviluppato nel mio saggio “Il futuro non invecchia”, Vita e Pensiero 2018). A fronte di questa diminuzione dell’offerta nel welfare informale non ha corrisposto un efficiente potenziamento del welfare pubblico, in particolare degli strumenti di conciliazione tra lavoro e impegni familiari e bassa rimane la condivisione maschile sul fronte della cura (verso i figli e verso i genitori anziani). Nel contempo è andata ad aumentare continuamente la domanda di cura verso la popolazione più matura. Gli anziani in condizione di non autosufficienza – ovvero con limitazioni nelle attività della vita quotidiana e quindi con necessità di assistenza – sono stimati essere circa tre milioni. Secondo i dati Istat, oltre il 42% degli over 75 ha almeno tre malattie croniche. La popolazione in tale fascia d’età è di circa 7 milioni ed è destinata ad arrivare a 12 milioni entro il 2050.
A fronte di questi cambiamenti, la carenza di efficienti strumenti di welfare pubblico a sostegno dell’attività di cura e di conciliazione con l’attività di lavoro extradomestico, assieme ad un modello culturale che assegna scarso valore alla cura nella dimensione maschile, produce ricadute negative sia sulle scelte (rinunce rispetto al numero di figli o rispetto alla carriera professionale), sia sul benessere soggettivo e relazionale (qualità dei rapporti familiari e con i destinatari dell’aiuto che rischia di prodursi in condizioni di tensione e affaticamento). Potenziare il welfare formale non significa ridurre la funzione positiva della famiglia e della solidarietà intergenerazionale, consente anzi alle relazioni di reciprocità di essere vissute non come peso e vincolo, ma nelle condizioni che favoriscono il benessere relazionale e lo scambio di valore reciproco.
La crisi sanitaria ha peggiorato ulteriormente questo quadro, mettendo in luce i limiti dei servizi domiciliari verso gli anziani, con questi ultimi che si sono trovati spesso in isolamento dovendo contare sull’aiuto delle reti informali ma in condizioni di maggiore complicazione. Ha inoltre creato un aumento del sovraccarico all’interno delle famiglie, soprattutto sulle donne con figli minori da assistere tutto il giorno e da seguire nella didattica svolta a distanza, nel frattempo lavorando in smart working. Altre hanno dovuto lavorare (per alcuni tipi di attività) fuori casa ma con difficoltà ad accedere ai servizi per l’infanzia, già usualmente carenti in Italia, o altro tipo di aiuto (si veda: http://famiglia.governo.it/media/2192/rapporto-gruppo-demografia-e-covid19_1412020.pdf). Lo stesso smart working (vissuto durante il lockdown in condizione di emergenza) non è scontato che nello sviluppo che avrà dopo la pandemia (grazie al potenziamento sperimentato dell’uso delle nuove tecnologie e alla riorganizzazione delle aziende) vada a migliorare le possibilità di conciliazione tra lavoro e famiglia. Può essere uno strumento utile in questa direzione solo se regolato e fruito in modo che migliori tempi e modalità di lavoro da parte dei/delle dipendenti e non sia imposto dalle aziende come strumento di riduzione dei costi. Una deriva analoga si è osservata con la Grande recessione del 2008-13 che ha visto un forte aumento del part time, ma non quello scelto e reversibile (rimasto quest’ultimo a livelli tra i più bassi in Europa).
Nei paesi occidentali in cui l’attività di cura trova maggior supporto sia attraverso misure di welfare formale sia da parte maschile, molto più ridotte risultano le differenze di genere in termini di valorizzazione del capitale umano nel mondo del lavoro, ma più alta risulta anche la fecondità e migliori le condizioni economiche delle famiglie (sui modelli dual earner e dual carer si veda: https://www.neodemos.info/2020/01/28/rafforzare-equita-tra-donne-e-uomini-assieme-alla-conciliazione-tra-lavoro-e-famiglia/). La condivisione migliora anche il rapporto di coppia e la relazione tra padri e figli, aiutando inoltre i figli maschi a sviluppare codici di cura a partire dall’esperienza di entrambi i genitori, ma anche le figlie femmine a non dare per scontato che il carico sia solo sulle donne.
L’obiettivo di migliorare il sostengo all’attività di cura e ridurre le differenze di genere, non va visto solo come questione di diritti delle donne da garantire, favorisce anche lo sviluppo di modelli maschili con possibilità di realizzazione più ampia e completa oltre la sfera lavorativa, porta, in generale, a una migliore espressione di scelte professionali e di vita che migliorano la partecipazione delle persone alla produzione di benessere (nel senso più ampio) di un paese.
Oltre al part time reversibile e al congedo di paternità (e alle forme di congedo condiviso), il nostro paese ha bisogno – come emerge anche dal confronto con gli altri paesi europei – di rafforzarsi sul versante dei servizi, con una visione integrata che abbracci tutto il corso di vita. In questa prospettiva è urgente pensare ad un potenziamento dei servizi per l’infanzia (che aiutano a non lasciare il lavoro alla nascita di un figlio), dei servizi per l’impiego e di consulenza di carriera (che aiutano a rientrare nel mondo del lavoro o a trovare le migliori soluzioni per conciliare lavoro e fase della vita che si sta attraversando), dei servizi per gli anziani non autosufficienti (che consentono di accudire un genitore fragile in modo integrato con assistenza domiciliare adeguata e qualificata).
Una risposta.
[…] Alessandro Rosina, “Cura, lavoro, demografia e welfare in Italia” […]